Civiltà Wireless: internet e la liturgia dell’illusione #1

Tre circuiti integrati nei rispettivi package DIP plastici con i vari pin uscenti

Di seguito pubblico la prima parte del mio saggio semiserio dal pomposo titolo “Civiltà Wireless: Fenomenologia kafkiana di un idolo contemporaneo. L’ontologia della connessione, le scatole cinesi  della burocrazia informatica del terzo millennio, il governo della speranza e dell’illusione”. Pubblicherò le restanti parti del saggio con cadenza settimanale.

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Dedico idealmente queste righe a Julian Assange e a Edward Snowden  che non conosco e con i quali forse non riuscirei nemmeno a intendermi. Dedico loro il seguente testo semplicemente per quello che rappresentano…

1. Premessa

Da quando sono a digiuno di Internet (un problema tecnico[1] prolungato non mi consente di connettermi) le cose non-accadono esattamente come quando ero[2] sempre connesso. Il non-accadere di ciò che mi aspetto che accada quando sono connesso ha, in questo caso, una ragione a mio avviso plausibile, una ragione nella quale però mi trovo intrappolato poiché sono convinto che il non-accadere di ciò che mi aspetto che accada sia causato dalla mancanza di connessione. Ne deduco che sono caduto nel noto dilemma del cane binario (binary-dog) che si morde la sua binaria coda: l’accadere e il non-accadere delle cose dipende esclusivamente dall’essere connessi!  Forzando un po’ le cose con un etto e mezzo di sillogismi presi in prestito alla filosofia delle scuole superiori, sono convinto che essere connessi significa la possibilità stessa dell’accadere… l’accadere è la realtà. E le cose accadono solo nella realtà. Chi è disconnesso (per coloro che sono connessi) si trova in una condizione shakespeariana: sognare, dormire, forse morire? Nella contemporaneità il dubbio che attraversa i secoli sostituisce l’essere con la connessione: connessi o disconnessi…? Questo è il problema! Insomma la connessione è diventata una questione ontologica ovvero relativa al senso stesso dell’esistere e affonda le sue radici nel trascendente.

1.2 Essere e Avere

Essere connessi e non Avere una connessione: proprio per sottolineare l’identificazione tra me (noi)  e la mia connessione, che è – in fondo – un’espansione di me stesso o l’illusione che io possa in qualche modo, duplicarmi, triplicarmi, moltiplicarmi all’infinito: uno spazio fuori di noi ma che contemporaneamente ci appartiene – anche se binario  – dove il limite del corpo, della carnalità, è oltrepassato. Uno spazio di espansione della vita, per accedere al quale dobbiamo lasciare da parte la vita stessa, il corpo ovvero l’involucro che ci rende mortali. Chi è connesso a mio avviso è più o meno consciamente convinto di espandere lo spazio del sé e pertanto di moltiplicare le proprie possibilità (qualunque esse siano!).


[1] La mancanza di connessione non è un problema filosofico, politico, psicologico ma un problema tecnico: i problemi tecnici non hanno colorazione politica non intersecano la sfera delle emozioni ma sono questioni di macchine. La burocratecnìa (burocrazia-tecnologica), in realtà, è una questione fortemente politica poiché costituisce un labirinto nel quale è avvinta la nostra vita. La burocratecnìa un senso fortemente politico, anzi bio-politico poiché nella contemporaneità avere a che fare con problemi tecnici è un’avventura kafkiana nella quale spesso abbiamo a che fare con la desolazione e con il vuoto creato della nostra stessa organizzazione sociale e la sensazione di essere su una aereo senza pilota in cabina è una sensazione tipica della contemporaneità. Mi collego a un link che mi collegherà a un link che a sua volta mi collegherà ad un altro link che mi darà informazioni sulla modalità di richiedere informazioni…è un gioco infinito di scatole cinesi nel quale forse alla fine, come Narciso, restiamo davanti alla nostra stessa immagine e, come Narciso, rischiamo di impazzire.

[2] Essere connessi e non avere una connessione: proprio per sottolineare l’identificazione tra me e la mia connessione, che è – in fondo – un’espansione di me stesso o l’illusione che io possa in qualche modo, duplicarmi, triplicarmi, moltiplicarmi all’infinito. Sento che è una questione – questo fatto di potermi espandere – che ha a che fare con la morte o la prosecuzione della vita.

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