“Una cosa divertente che non farò mai più”: valutazione ed autovalutazione nella scuola italiana alla luce di alcuni ‘casi pratici’[1]


di Francesco Camattini[2]

Reazione o Innovazione?

La valutazione e soprattutto l’autovalutazione, così come le intendo, parte prima ancora che da una riflessione teorica dalla mia esperienza biografica. In effetti posso “riassumermi”, con almeno tre tratti caratteristici: 1) studente. A quarant’anni infatti mi sono ritrovato a fare il Conservatorio – il triennio di jazz – con ragazzi di 15 anni che avrebbero potuto essere miei studenti… un’esperienza durissima alla mia età e lavorando, ma davvero molto formativa. Tutt’ora sto studiando per l’esame da dirigente scolastico… non vi annoio sulla quantità di esami che ho sostenuto fino all’anno passato; 2) come formatore e 3) come docente. A fianco di queste esperienze colloco quella di educatore scout che molto mi ha insegnato su cosa significa valutare ed autovalutarsi. Perciò lascerei da parte, per ora, le teorie pedagogiche e proverei a tracciare un quadro guardando in prospettiva questi miei venticinque anni di insegnante, formatore e… studente!  

Premetto che mi colpisce il titolo di questo workshop: mi colpisce la “doppia anima” e la provocazione – evidente – che vi è sottesa. E con me avete colpito nel segno: infatti non mi piace la parola “reazione”, ciò che evoca, dalla vuotaggine e pochezza intellettuale del salotto borbonico descritto da Stendhal ne “Il Rosso e il Nero” (periodo della Restaurazione) come reazione appunto al periodo di effervescenza appena trascorso in Francia, fino a cupe atmosfere da dittatura fascista.  

Credo piuttosto che quando cominciamo a chiederci se si stava meglio ieri vuol dire forse che ci troviamo disorientati rispetto al presente, che gli strumenti di lettura e di intervento sul presente sono strumenti che non sembrano funzionare; anche se capisco che ritornare all’antico sia sempre una tentazione rassicurante ma non è detto che sia efficace. 

Mi chiedo: sul tema della valutazione ed autovalutazione occorre davvero “tornare all’antico” o “lasciare ogni certezza e lanciarci nel futuro”? Oppure c’è una terza via? 

Sceglierei quest’ultima ipotesi. La mia proposta quindi è stare nel presente, sostare nel qui ed ora. Secondo me è la cosa più interessante perché ci costringe a interpretare i segni di ciò che vediamomutare e mutato attorno a noi: ci costringe a cogliere i segni della nostra epoca, del nostro Tempo.

Non dobbiamo rifiutare i segni del cambiamento, anzi dobbiamo accoglierli, raccoglierli, non combatterli negandoli. 

È ovvio che la scuola non è avulsa dal contesto ma è un punto di snodo in cui ritroviamo un riflesso della contemporaneità e delle sue istanze. Mi viene da dire che la scuola è il centro (o potrebbe e dovrebbe esserlo) della società: è produttrice di significati e di cultura, la scuola è una fabbrica di senso… e se non lo produce senz’altro lo intercetta:non si può dunque non chiedersi prima di tutto quali istanze ci consegna la contemporaneità! 

Allora prima di tutto per evitare di essere ideologicamente reazionari o rivoluzionari(e quindi rifiutare ciò che c’è di buono nel passato) occorre, a mio avviso, mettere a fuoco quali sono queste istanze che hanno un indubbio influsso sul nostro modo di lavorare. 

La prima, il primo segno più semplice e sul quale in molti – mi auguro – concorderemo, mi viene da dire che è la fine delle grandi Narrazioni (come dice J. F. Lyotard)nonché della Verità in favore della post-Verità[3]; inoltre possiamo dire di essere entrati in un epoca di sano “relativismo culturale” (forse apparentato con l’epoca delle post-Verità, ma in questo caso lo vedo con un’accezione positiva) laddove tutti gli orientamenti individuali e collettivi sembrano avere diritto di cittadinanza, compresi quelli sessuali… la Verità non è UNICA MA MOLTEPLICE, possibile, ricontrattabile, negoziabile, non c’è una sola VERITÀ, oggi la scuola educa all’intercultura, al dialogo interreligioso, se volete ad un positivo RELATIVISMO CULTURALE che non significa che non esistano le culture ma che esse sono in dialogo; per dirla “alla Bauman”  possiamo dire che la nostra è una società LIQUIDA, e io aggiungo precaria, sotto il profilo ECONOMICO del lavoro ma anche delle RELAZIONI,è una società INTERCONNESSA e CONNESSA perciò le istanze digitali e dei SOCIAL sono reali (non virtuali) e non vanno trascurate… oggi è molto potente l’ISTANZA dell’INNOVAZIONE TECNOLOGICA, il vecchio è MALE; il TECNOLOGICAMENTE NUOVO porta denaro, lavoro,  fascinazione,  nuove possibilità… il CAMBIAMENTO CLIMATICO ci porta su un pianeta in bilico tra la catastrofe ambientale e la possibilità di salvezza; le grandi MIGRAZIONI mettono in discussione i nostri valori… 

Per entrare nel nostro microcosmo(che poi è un riflesso del macrocosmo di fuori), nel nostro universo delle relazioni scolastiche, mi viene da dire che dobbiamo prendere atto per es. di una più diffusa simmetria di rapporti tra generazioni e tra ruoli differenti:non fossilizziamoci a dire che per l’autorità e per i professori “non c’è più il rispetto di una volta!”. Certo, vi confesso che davanti a certi maleducati la tentazione di lasciarsi andare a questo pensiero è forte…!  

Ma mi dico che forse oggi non c’è più un’evidente disparità di mondi tra adulti e ragazzi: molti miei colleghi utilizzano social tra loro e… con gli studenti! [sono oggetto di tutto il mio scetticismo ma mi dico che in fondo è un segno dei tempi e a quarant’anni non sono sposati e sono in cerca di “avventura” e sentono che “un giorno, più in là”, si stabilizzeranno…]

E poi è vero che ci sono psicologi che parlano di POLIAMORI… insomma non siamo nel 1950… neppure nel 1980 ma siamo nel 2019!

Oggi sembra che i ragazzi e le ragazze si pongano e si percepiscano allo stesso livello degli adulti, sembrano avere le stesse attese e pretese… occorre prendere atto di questa mutata circostanza. Sembra che non ci sia più quel “gradino” (padri sul podio figli sulla pedana) di distanza da colmare; sembra che non ci sia nemmeno la necessità di contestare le generazioni adulte come si contestavano nel ‘68. 

[In effetti devo dire che per es. mettere in scena la contestazione di un voto significa da un lato avere più consapevolezza delle proprie prerogative, dall’altro non sentire timore del docente e dall’altro ancora forse non aver stabilito dentro di sé una linea di confine tra mondo adulto e mondo non-adulto].  

Anche per questo noi docenti dobbiamo ricercare un ruolo NUOVO, meglio una nuova prospettiva con la quale guardare i nostri ragazzi. Se pensiamo di sostenere la parte delle antiche auctoritaso se pensiamo di poter ancora parlareex cathedra(letteralmente intendo; io la cattedra non la uso più se non in rare occasioni) ci sbagliamo… In effetti ho riflettuto molto sul mio ruolo di FACILITATORE del processo di apprendimento e non di dispensatore di CERTEZZE: il mio compito di insegnante è quello di facilitare, agevolare, preparare il setting dell’apprendimento; fare l’arbitro, esplicitare e far rispettare le regole, sorvegliare lo svolgersi di relazioni significative e formative. Capisco che sia destabilizzante anche perché per un puro fatto anagrafico nella scuola si avvicendano e si sovrappongono più generazioni di docenti. 

Un “PUZZLE di voci”. Il mio dono (“avvelenato”) per voi.   

Ecco questa è la mia premessa. Detto questo provo ad entrare nel vivo del tema facendomi soccorrere da un “puzzle di voci”che ho raccolto in questi giorni mentre preparavo il mio intervento: non sono un oratore e ci ho messo un sacco di tempo a pensarlo e più ragionavo più l’argomento si allargava a “macchia d’olio”… “Aiuto!”, mi sono detto, “mi serve un argine, altrimenti rischio di parlare per tre ore e non dire niente”. Così ho provato a delimitare il mio discorso grazie alle parole degli altri: ho chiesto in giro a docenti, ragazzi e persone che incontravo per motivi di lavoro o amicizia cosa significasse per loro: 

  • ESSERE VALUTATI;
  • VALUTARE ED AUTOVALUTARSI;
  • L’ULTIMA VOLTA CHE HO VALUTATO;
  • L’ULTIMA VOLTA CHE SONO STATO VALUTATO. 

Sono emerse cose davvero interessanti. Ve le lascio di seguito come frasi anche un pochino birichine, voci “laterali” e sotterranee, più sovversive che reazionarie, scritte di nascosto su un muro immaginario… sul quale vi invito ad aggiungere il vostro pensiero. 

Date uno sguardo alle risposte e alle considerazioni che ho raccolto e che seguono (ve ne riporto solo alcune che sono davvero molto interessanti); personalmente mi hanno fatto riflettere molto. 

La cultura della valutazione nella scuola italiana dovrebbe essere un fatto più che “assodato” non credete? Tutti i giorni si “consumano” nelle aule decine di migliaia di valutazioni, eppure chiedendo a docenti, studenti e studentesse, formatori e formatrici scopro con un certo sconcerto (del resto un pochino me lo immaginavo) che non sembrano esserci strumenti e cultura condivisa per la valutazione; ancora l’idea della valutazione cambia da una persona ad un’altra della stessa scuola o di un simile ambiente lavorativo o tra persone con percorsi formativa analoghi. Questo da un lato ci dovrebbe “consolare” – èpiù difficile sbagliare, andare “fuori strada” quando non c’è una via maestra,non ci sono nemmeno dogmi di riferimento e perciò il campo è aperto a molte possibilità – tuttavia dall’altro lato lascia aperto il campo a tanti “disastri formativi” ed educativi.

RG fisica nucleare, ricercatrice e comunicatrice della scienza al CNR, già dottoranda CERN di Ginevra, specializzata nei temi relativi a scienza e democrazia

La valutazione è sicuramente un momento insostituibile per uscire dall’autoreferenzialità, ovvero costituisce la possibilità  di “vedersi dall’esterno” e non considerarsi soltanto dall’ “interno”; d’altro canto la valutazione diventa problematica quando diventa “misurazione” di una caratteristica, di una proprietà, di una capacità del soggetto, in questo modo riducendo il soggetto all’oggetto della misurazione,cosa che a mio avviso non dovrebbe mai avvenire perché la persona dev’essere sempre soggetto di pratiche ed azioni valutative e mai oggetto “passivo”. Problematica a maggior ragione perché queste valutazioni sono svolte in un contesto (quello europeo dalla Strategia di Lisbona in poi in cui quella europea avrebbe dovuto diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo) in cui si desidera inserire la produzione e la trasmissione di conoscenze in un processo di tipo “economico” ovvero utilizzare la scuola come ingranaggio fondamentale per la crescita economica. E le prove INVALSI hanno anche il compito di misurare l’allineamento del sistema di istruzione italiana a quello degli altri paesi europei (sul modello delle indagini OCSE-PISA). Ridiscendendo verso il soggetto queste pratiche di fatto influenzano e spingono verso percorsi pre-determinati, comprimendo la libertà del singolo di svilupparsi secondo la direzione che più gli è congeniale, anche al di fuori di percorsi “stabiliti”, ricercando una propria riuscita anche del tutto “originale”. [Contravvenendo in un certo senso alla legge, alla Costituzione e alle più diffuse teorie pedagogiche, nel momento in cui l’educazione e l’istruzione sono atti “liberanti” di promozione umana del singolo per la sua crescita spirituale e morale, NdA]

ED studentessa all’ultimo anno del Liceo Artistico P. Toschi

Valutare significa esprimere un voto/giudizio sul lavoro di qualcuno sulla base di principi stabiliti; l’ultima volta che sono stata valutata mi sono sentita sottovalutata; l’ultima volta che ho valutato mi sono sentita responsabile e potente.

GB giornalista, docente di religione, già direttore mensile “Vita Nuova” 

Valutare implica il tema del riferimento ad un valore comune: questo a me sembra l’aspetto più problematico. Questo valore l’abbiamo negoziato assieme? C’è stato un percorso comune al riguardo? Ci siamo confrontati sul “lessico” della valutazione? Oppure andiamo per vie parallele e ciascuno pensa a una propria scala di riferimento, ha un proprio “idolo (immagine) valutativo”? 

Valutare ha in sé un’ambiguità e un’ambivalenza del valutatore: da una parte valutare dà valore a qualunque cosa, a qualunque sforzo e può essere incoraggiante… cogliere il buono e vederlo in una progressività con speranza; allo stesso tempo la valutazione può essere molto “bloccante” quando guardi nel dettaglio; il prof. GB fa il paragone con un valutatore di auto usate… l’auto ha uno specchietto rotto, una sbocciatura, insomma valuta i dettagli e non la “storia” dell’auto e il prezzo non migliora con il tempo, anzi… 

FB Formatrice, responsabile settore formazione e progettazione CSV “Forum Solidarietà Parma” – Parma; lavora a stretto contatto con quasi tutte le scuole secondarie del secondo ciclo del territorio

La valutazione è un’opportunità e uno strumento per riflettere su qualcosa a cui si è partecipato; la valutazione deve sempre comprendere al suo interno il soggetto che è valutato, ovvero deve essere sempre anche autovalutazione altrimenti non è più opportunità di riflessione ma diventa semplicemente un giudizio dato da altri al nostro lavoro. Un esempio che si riferisce all’ultima volta che sono stata valutata è il mese scorso durante una formazione rivolta a un gruppo di giovani e a loro è stato sottoposto un questionario per valutarmi e la tutor me l’ha fatto leggere e mentre aprivo l’allegato sentivo ansia ed effettivamente mi sentivo a disagio perché sentivo che la valutazione che ricevevo mi avrebbe restituito un pensiero rispetto a me e non tanto rispetto alla prestazione/formazione che avevo svolto  con quei ragazzi… diverso sarebbe stato fare una valutazione del setting formativo insieme agli studenti come spesso faccio: insieme valutiamo il percorso e ci diciamo cosa è andato e cosa non è andato cosa si poteva migliorare, cosa si può ancora fare e quali piste di lavoro approfondire o ancora da percorrere… [in questa idea di valutazione mi ritrovo molto, soprattutto nel momento in cui il processo di valutazione ricomprende – per forza di cose – il soggetto valutato, viceversa parliamo di giudizio che spesso è un fatto isolato e monodimensionale. Non da ultimo occorre mettere a tema lo stato emotivo di chi è soggetto alla valutazione e di chi invece valuta: non credo sia questione da liquidare come “ordinaria” ma merita di essere affrontata. NdA

SS studentessa terzo anno di università a Scienze dell’Educazione

Essere valutati significa confrontarsi con qualcuno diverso da te,portare ad un altro/a le cose che hai fatto. Per questo la valutazione è qualcosa di accurato da non sottovalutare; è metodo di condivisione di un pensiero.  

[mi viene da chiedermi se la valutazione non sia un… dono. NdA]     

GB studente della terza classe del liceo Scientifico A. Bertolucci 

Essere valutati significa ricevere dei giudizi, che non sempre sono veritieri, anzi a volte sono quasi dei pre-giudizi. Un esempio negativo è quando ricevi una verifica che è andata male ma sei convinto di aver dato il massimoper riuscire… 

AM Cooperatrice sociale ed esperta in Certificazione e Valutazione delle Competenze, collaboratrice su diversi progetti rivolti alle scuole di Parma, del prof. Arduino Salatin, vicepresidente INVALSI 

Intanto ho scoperto che la valutazione era una parte fondamentale del processo di apprendimentoquando praticamente ero già uscita dal mio “primo” percorso di studi: è un’esperienza che ho fatto in seguito nel contesto lavorativo e della mia specializzazione. L’esperienza che ho fatto della valutazione quando ero ancora a scuola è stata terribile, la vedevo come un momento di “pura tortura” e slegata dall’apprendimento; solo dopo nella mia esperienza lavorativa ho vissuto la valutazione come il momento in cui “fare il punto” su ciò che io avevo appreso. L’ultima volta che sono stata valutata? Tutti i giorni costantemente. L’ultima volta che ho valutato è stata una settimana fa: ho fatto un corso di formazione per docenti e ho fatto il punto su ciò che è “circolato” come apprendimento. 

PA Docente di scuola superiore (economia sociale), ISISS Pietro Giordani

Valutare vuol dire prima di tutto entrare nella posizione, nel ruolo e nel contesto di chi dev’essere valutato(non quindi sulla base di parametri precostituiti e rigidi). Essere valutati è una cosa preziosa se presa come un riscontro dell’attività che fai o dello studio che fai; non come una preoccupazione o un rischio: chi ti valuta può anche aiutarti (non è necessariamente un esame). Per gli studenti spesso l’autovalutazione è una gabbiain cui si mettono dentro da soli e dalla quale è difficile uscire: io sono fatto così, valgo tot e non posso migliorare (questo è il refrain che sento spesso dai miei studenti).Da molto tempo non sono valutato.Sull’autovalutazioneposso dire che volontariamente è difficile innescarla perché potrebbe esserci un rischio di “rammarico o rimpianto” mi fa pensare a un giudizio su me stesso ripiegato sul passato,l’autovalutazione avrebbe lo scopo di proiettarci nel futuro. 

[Il nostro giudizio proietta gli studenti nel futuro o li inchioda al loro presente? NdA] 

Studenti terza classe AFM ITIS G. Galilei 

– Valutare è un atto che avviene in forma scritta o orale; l’ultima valutazione che ho ricevuto è stata venerdì; l’ultima che ho assegnato è stata stamattina ad un paio di scarpe di una mia amica.

– Essere valutati significa essere giudicati da qualcuno.L’ultima valutazione ricevuta è stata a scuola, un voto di ieri… l’ultima valutazione che ho dato è stata sul look di una mia amica.

– Valutare significa dare un giudizio in base a dei criteri; essere valutati significa aver ricevuto un giudizio; l’ultima valutazione che ho ricevuto è stata qualche giorno fa per una verifica; l’ultima valutazione che ho dato è stata relativa ad un lavoro di gruppo fatto da me e dai miei compagni.

– Essere valutati può essere positivo o negativo e a seconda della persona può fare più o meno piacere; l’ultima valutazione è stato un voto a scuola; l’ultima valutazione che ho dato è stata durante una seduta dall’allenamento: ho valutato le capacità di un compagno nel “passaggio”. Le ho valutate molto buone ma si possono fare miglioramenti. 

– A scuola accetto di essere valutato dai professori che sono un nostro punto di riferimento e possono dirci ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare, mentre non l’accetto da un mio pari… gli altri studenti sono come me

–  Per valutare occorre seguire dei criteri che tutti conoscono. Non è valido essere confusi sui criteri… 

– Non mi piace essere giudicata né da adulti né da coetanei… una valutazione a scuola però per me è indifferente. Se mi piace la materia non mi faccio problemi. I miei coetanei non sono saggi e prima di giudicare un altro non credo si siano autovalutati… (quindi la valutazione è un giudizio?)

– Valutare significa determinare il valore di qualcosa o di qualcunoe offrire critiche costruttive per migliorarsi…

[È molto interessante la puntualità di alcune valutazioni fatte tra coetanei, ovvero il rispetto che sottendono dell’altro: io dico se le tue scarpe sono belle o brutte e se fai bene il passaggio, quel singolo passaggio: non dico se sei bella o se sei un bravo calciatore. Mi limito ad un particolare. NdA] 

GA campionessa italiana di ciclismo categoria Donne Allieve 

Mi piace ricevere critiche costruttive sia da persone della mia età sia da adulti per avere un punto di riferimento e un confronto con persone che non la pensano come me; spesso le critiche fanno male ma ti insegnano ad avere un carattere forte ed accettare cose che si fa fatica ad accettare.

[Questioni di carattere e differenza di carattere: quanto può essere fragile un ragazzo o quanto può essere decisiva la valutazione: essa deve essere individuale/personalizzata… non tutti i ragazzi/e sono “solidi” come questa ragazza e anzi direi che è l’eccezione che conferma la regola].  

Leggendo dunque queste interessanti considerazioni e incrociandole con le mie conoscenze e informazioni, gli umori dei docenti e con ciò che accade tutti i giorni nella mia scuola e nelle nostre scuole, mi viene da dire che la valutazione è un tema costantemente evocato ma di cui la maggior parte di noi sa ben poco (o quasi)… eppure sembra che tutti ce ne intendiamo!È come il calcio: se ne parla tantissimo in tutti i contesti ma in serie A ci gioca pochissima gente. E se dovessimo mandare in campo tutti gli intenditori di calcio che si sentono parlare del tema si vedrebbero dei bei disastri: in effetti tra il dire e il fare c’è sempre l’abisso. 

Dunque mi chiedo, non solo in tono provocatorio: forse occorrerebbe introdurre sia per docenti che per studenti la disciplina (questa sì davvero molto trasversale) VALUTAZIONE-AUTOVALUTAZIONE; come forse dovrebbe essere introdotta la disciplina METODO DI STUDIO ma questa è un’altra storia anche se meriterebbe un certo approfondimento visto che, come della valutazione, parliamo tanto di competenze, soprattutto di “competenze trasversali”[4].

Il “Vuoto del Voto” (o se preferite un “Voto a Vuoto”)

Ho paura allora che la VALUTAZIONE nella scuola italiana, se l’affrontiamo come “fatto isolato” dal processo di apprendimento, come una questione meramente amministrativa (il voto) rischi di essere un’etichetta vuota dietro la quale si nasconde il VUOTO del VOTO[5]

Anche la legge dice del resto dice che la valutazione è un percorso; il voto in sé invece non è un percorso ma il segnavia di un percorso, il cartello stradale… un pezzettino di strada. 

Allora dobbiamo chiederci nel processo valutativo dei nostri studenti quanto è importante il voto a nostro avviso?Che parte ha nell’intero processo di apprendimento e valutazione considerato come un continuum? Domando ancora quanti nostri studenti credono cheil voto sia soltanto una parte del processo valutativo

La legge

Così vorrei prendere qualche spuntodalla legge,la mia formazione di avvocato mi ha fatto capire che partire dalla legge, dalla lettera della norma può essere illuminante: innanzitutto perché se da un lato vale il principio che ignorantia legis non excusat, dall’altro non c’è nulla di più ignorato della norma… allora cosa dice la legge in materia? 

DPR 22 giugno 2009, n. 122[6]– […] 2. La valutazione è espressione dell’autonomia professionalepropria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva, secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 4, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni. 3. La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento,il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l’obiettivo dell’apprendimento permanente di cui alla «Strategia di Lisbona nel settore dell’istruzione e della formazione», adottata dal Consiglio europeo con raccomandazione del 23 e 24 marzo 2000.

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 62[7]1. La valutazione ha per oggetto il processo formativoe i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.

Ecco proviamo così a confrontarci con la norma. Se la valutazione ha per oggetto un processo, il voto è uno dei tanti elementi che evidenziano l’andamento di questo processo e la finalità “sommativa” della valutazione è davvero – a mio avviso – marginale rispetto al percorso umano, formativo e di crescita morale e personale di ciascuno studente a me/noi affidato. Non ho paura di essere smentito – e parto dall’essere per primo in difetto – se dico che a valutazione per me è stata, molto spesso, il voto di una verifica o di un colloquio orale. 

La valutazione sottende quindi un compito “impossibile” che abbiamo noi insegnanti: quello di far emergere fragilità e potenzialità dei nostri ragazzi e promuoverne lo sviluppo identitario nonché la capacità di autovalutazione (una serena autovalutazione, aggiungo io).  Potremmo discutere per ore su queste poche righe del testo normativo: ve lo lascio come “pietra di paragone”, come post-it (è meno enfatica come espressione in effetti!) per ricordarci che strada stiamo imboccando quando ci troviamo a dover valutare. 

Se siamo sinceri… 

Mi chiedo: quante valutazioni (direi più propriamente voti, ovvero uno dei tantissimi elementi della valutazione) assegna ciascuno di noi, in media, in un anno scolastico? Diciamo che un docente con tre classi di venticinque studenti/esse, ovvero settantacinque studenti in totale, se assegna sei voti/anno per ciascuno, accumulerà quattrocentocinquanta voti all’anno. 

Ma quanti “voti” riceviamo noi docenti in un anno? Meglio, mettiamola così: quante valutazioni riceviamo in un anno rispetto alla nostra capacità di fare lezione? Siamo disposti a farci valutare nel nostro lavoro? Ce lo siamo mai chiesti? Oppure ci trinceriamo dietro la “libertà di insegnamento” e le “prerogative professionali”? Noi adulti che lavoriamo da anni saremmo davvero disponibili a farci valutare dai nostri studenti o dai nostri pari? Come vivremmo questa valutazione? Se facciamo uno sforzo di sincerità o proviamo a tornare con la mente all’ultima volta che siamo stati valutati da un nostro pari in età adulta credo “ne vedremmo delle belle!” [di qui il titolo del mio intervento: “una cosa divertente che non farò mai più” mutuato dal geniale David Foster Wallace, titolo che non ho più cambiato nonostante il contenuto del mio intervento: inizialmente volevo offrirvi l’esperienza di una valutazione –  andata malissimo – con un gruppo di colleghi].

Ci vuole allenamento per “digerire” un voto che non sia situato all’interno di un processo più complesso, eppure troviamo normale assegnare un voto centinaia, a volte anche migliaia di volte in un anno.

Come vedete ci sono tante carte sul tavolo. Si tratta di sceglierne alcune per proseguire. Proverò a portarvi la mia esperienza in classe. 

In classe: Nulla Valutazione sine Relazione

Purtroppo non sempre mi riesce di mettere in pratica quello in cui credo e così spesso la mia idea di valutazione e autovalutazione rimane tutta nelle mie intenzioni. Del resto ogni giorno imparo qualcosa dai miei studenti e dalle mie studentesse perciò devo sempre regolare il “tiro”.

Detto questo, a mio avviso (e credo sia anche un po’ almeno lo spirito della legge che abbiamo assieme provato ad evocare come metro di paragone per il nostro agire) la valutazione è sempre frutto un “contratto” e mai di un atto unilaterale – mutuo la definizione dal discorso giuridico: infatti nel contratto occorre che ci sia l’incontro tra le volontà delle parti… l’atto unilaterale – permettetemi l’iperbole – è  autarchico e non entra in relazione. Questo non vuol dire che le parti siano sullo stesso piano… tuttavia – è ovviamente la mia esperienza – perché ci sia una valutazione efficace a mio avviso occorre che essa si innesti su un patto, che a sua volta implica una relazione formativa/educativa. Potrei azzardare a coniare un detto parafrasando “Nulla Ethica sine Aesthetica” di un noto filosofo di cui mi sono dimenticato il nome (perdonatemi, era Schelling in qualche trattato che ha a che fare con l’educazione? Non lo ricordo!) e in un latino maccheronico comprensibile da tutti: “Nulla Valutazione sine Relazione”. 

Un atto di Pace

Dicevo un patto formativo: qui siamo in un liceo e penso vi divertiate a scovare gli etimi delle parole; l’enciclopedia Treccani mi informa che la parola PACTUM, ha la stessa radice di PACE; mi viene da dire dunque che la valutazione e l’autovalutazione sottese al PACTUM formativo hanno a che fare con la PACE. 

valutare è un atto di PACE, non un atto afflittivo, di guerra, contro qualcuno: “Ti do 3 perché è quello che meriti…; ti do 3 perché non sai fare l’esercizio; ti do 3 perché non hai portato il quaderno…”. Il voto in questi casi mi sembra più che altro una sanzione o un premio come quando si dà la carota ai cavalli… oppure si passa la corrente nei recinti per non far passare le mucche. 

PACE: stare in pace con se stessi perché si è fatto tutto quanto in nostro potere per migliorare, ricercare la PACE in noi stessi perché l’inquietudine deriva anche dal non sapere come utilizzare le nostre capacità o non comprendere dove sbagliamo… 

Chi è stato ben valutato e sa autovalutarsi sarà più in pace con sé stesso di chi pensa di essere ingiustamente valutato; che la valutazione sia un “atto-contro” credo generi grande confusione educativa e formativa: così l’unica cosa che molti giovani e non solo giovani trovano sensata davanti ad un “voto” è aggredire chi GIUDICA (visto che il voto è inteso come “atto aggressivo o atto di potere”). 

Ossimori 

La valutazione è atto di promozione dell’altro: bocciare qualcuno è per me un ossimoro de facto visto che devo promuoverne le capacità, le potenzialità la possibilità di crescita. Valutare allora significa anche entrare nel merito del metodo di studio di un ragazzo/a: mi riferisco in particolare di giovani che hanno a volte scarsa consapevolezza dei propri strumenti; quindi occorre fare domande su come studiano, su quando studiano, su con chi studiano; su cosa pensano di non riuscire a fare o di essere in grado di fare. Spesso mi trovo davanti ragazzi insicuri, che hanno scarsa autostima. Questo è il vero problema, ma apriremmo un nuovo e lunghissimo capitolo: ve lo lascio come pista di lavoro. 

E vengo ad alcune proposte concrete: l’esperienza in alcune delle mie classi. “Parlare in pubblico” come occasione per una “valutazione ed autovalutazione (pubblica e condivisa)”. 

L’oralità – la gestione della parola in pubblico – per me è fondamentale… la mia materia è orale ma se sullo scritto le frasi rimangono e si può tornare a ragionare, correggere, rifare, comprendere cosa è corretto e cosa non lo è, la produzione orale è sempre più  delicata, sfuggente… “Ma no prof. guardi che l’ho detto…”, “ah, non me ne sono accorto…”. Sembra una banalità, ma come fare per mettere “davanti” ad uno studente il suo discorso, l’espressione della sua oralità… il suo parlare in PUBBLICO? Ovviamente l’oralità non è solo “capacità di parlare di un argomento quando lo si è studiato” ma capacità di gestire la propria emotività, di gestire l’errore, la critica, la noia dell’interlocutore o la ostilità. 

C’è un lavoro di gruppo a mio avviso utilissimo (ed è a mio avviso indispensabile la dimensione del gruppo, la dimensione corale dell’esperienza). Propongo alla classe unlavoro attraverso il quale sviluppare un argomento e in cui io docente (che mi pongo come osservatore, facilitatore e garante delle “regole del gioco”) osservo le dinamiche di gruppo dopo aver concordato con i ragazzi/e quali siano gli indicatori di un “buon lavoro di gruppo” (scelti prima da me in modo accurato e integrati con ciò che propongono loro)

Quindi da un lato il lavoro implica il tema e ilcontenuto disciplinare,dall’altro la condivisione dell’importanza dell’apprendimento attraverso il gruppo e la consapevolezza che lavorare assieme ha delle regole (non scritte ma precise) e infine la verifica, valutazione pubblica e collettiva del lavoro svolto (mi permetto di dire la parte sempre più affascinante sia per me che per i ragazzi/e). 

Vi ripropongo in Appendice il mandato che ho assegnato quest’anno ad una III Amministrazione Finanza e Marketing che si è dimostrata molto disponibile a lavorare suddivisa in piccoli gruppi, dimostrando di saper cambiare atteggiamento ad ogni mio feedback rispetto alle dinamiche instaurate in ogni singolo sottogruppo di lavoro. 

Come ho sottolineato sempre anche ai ragazzi il lavoro fatto assieme è stata un’occasione contemporaneamente per imparare qualcosa di nuovo; imparare a lavorare in gruppo, ma soprattutto “scusa” per fare esercizio di valutazione (ogni gruppo valutava il lavoro degli altri gruppi) ed autovalutazione. Avremmo dunque valutato: 1) la capacità di stare in gruppo; 2) la qualità del prodotto finale che il mandato implicava; 3) la capacità di valutare e autovalutarsi. 

Insomma i ragazzi/e devono, a mio avviso, abituarsi a lavorare sempre contemporaneamente su più piani distinti e paralleli: il piano sul quale si svolgono le dinamiche di gruppo e quelle personali e il piano del “prodotto”-“contenuto”. Come in tutti i contesti umani i due piani apparentemente distinti e paralleli si intrecciano. Anche per questo valutazione ed autovalutazione devono avere – a mio avviso – anche una dimensione pubblica (la classe). 

Con la mia classe alla fine di questo lavoro abbiamo osservato che:

– Contesto non accogliente, non rispettoso delle opinioni altrui e del lavoro degli altri e marginalizzante = cattivo apprendimento .   

– Contesto accogliente e inclusivo, rispettoso di tutti i contributi = buon apprendimento 

Per inciso, non voglio annoiarvi, ma nel caso di questo lavoro possiamo mettere a tema una pluralità di competenze contemporaneamente: imparare ad imparare, lavorare in gruppo, risolvere problemi, comunicare, ecc… (altra pista interessantissima da battere ma occorrerebbe un workshop esclusivamente dedicato a questo).

Se il sapere è una questione individuale è vero che l’apprendimento è una questione di relazione. Vi ho creato confusione? Spero di sì perché la complessità del tema non può che portare a questo! 

Il tema che sta sullo sfondo e sta sottotraccia ma è il “tema dei temi”: l’economia

Da ultimo propongo invece una “riflessione di sistema”, a mio avviso fondamentale, che mi ha aperto un orizzonte inedito all’interno del quale inserire il tema della valutazione (soprattutto sugli esiti rispetto alle prove standardizzate). È una riflessione politica (ovvero cha attiene alla polis e alle sue politiche e orientamenti) e radicale. 

Nella norma è citata la Strategia di Lisbona licenziata nel 2000 dalle UE (nel DPR 122 del 2009 il documento di Lisbona è citato a proposito di istruzione e… valutazione!). Tutti voi sapete che l’obiettivo dell’UE nel 2000, obiettivo ancora attuale ma debitamente rieditato, è quello che l’unione diventasse ad un certo punto letteralmente l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo. 

Certo, quando parliamo di valutazione rispetto a standard nazionali (che poi vengono confrontati con quelli degli altri paesi UE) parliamo di verifica delle capacità di un sistema di essere economicamente competitivo. Se la conoscenza serve all’innovazione e l’innovazione produce crescita economica è indubitabile il legame valutazione dei livelli di conoscenze e competenze e possibilità di crescita del PIL[8].

Anche per questo credo che le prove standardizzate nazionali INVALSI “rilascino nell’ambiente” una certa “tensione” emotiva diffusa. Si percepisce in effetti – è quasi una sensazione a pelle e non esplicitata – che non è in gioco solo il livello di una scuola o la capacità dei professori di produrre buoni studentima la capacità di un paeseintero distare nel Mercato internazionale,insomma la nostra capacità di “sopravvivenza”: è questione di “vita o di morte”. 

L’invito allora è sempre quello di non spaventarsi ma di esplicitare tutti i temi, ricomponendo questo complesso puzzle relativo al tema della valutazione, tema che, credo, abbia caratteristiche bio-politiche perché passa attraverso il corpo dei ragazzi e il nostro di docenti, parte da esigenze economiche ed è intrecciato con il tessuto produttivo e sociale del nostro paese e dell’intera UE.  

Ecco, queste sono le piste che vi lascio e sulle quali riflettere:alcune più puntuali che entrano ed esplorano il microcosmo della valutazione e i suoi soggetti/oggetti e alcune piste più attinenti al senso globale del valutare, del fare scuola in generale e della produzione di conoscenza nel terzo millennio. 

Appendice: una proposta di lavoro di gruppo

Il lavoro alla classe è stato assegnato dopo la lezione, la lettura e condivisione di materiali nonché la discussione in classe relativa al significato e al senso di SCUOLA PUBBLICA (a partire dalla lettera della Costituzione italiana), ascoltando anche le esperienze delle persone di altre nazionalità (Marocco, Cina e India) rispetto alla scuola nel loro paese.

Obiettivo (mandato consegnato ai ragazzi/e): con le informazioni e la documentazione a disposizione nonché con la possibilità di utilizzare la rete nonché di fare domande ad altri docenti della scuola o a studenti di altre classi o a genitori ed amici produrre un file AUDIO della durata minima di 90 secondi e massima di 360 secondi sul tema della SCUOLA PUBBLICA

Ciascun gruppo ha a disposizione unicamente il registratore del proprio telefono cellulare/smartphone e non c’è possibilità di editing audio: è vietato leggere il testo prodotto se non per citare frasi o leggi o altro.

Tempi

  • n° 1 h per raccogliere ulteriori informazioni e/o ordinare quelle in possesso; 
  • n° 1 h per produrre un canovaccio dell’audio;
  • n°1 h per produrre materialmente il file audio ovvero il prodotto finale. 

Valutazione:

Durante tutto il lavoro svolto in classe il docente passa tra i gruppi e annota: 

  • Nel gruppo qualcuno monopolizza la parola / tutti sembrano interagire in modo paritario (fino a 2,5 pp.);
  • Nel gruppo qualcuno si assume la leadership in modo autocratico / la leadership è diffusa e i compiti sono suddivisi in modo condiviso (fino a 2,5 pp.);
  • Nel gruppo hanno diritto di cittadinanza solo le opinioni o le osservazioni di qualcuno / tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza (fino a 2,5 pp.);
  • Nel gruppo i compiti non sono chiari e l’organizzazione è confusa / l’organizzazione del lavoro sembra fluida e ciascuno alla fine ha un compito (fino a 2,5 pp.).

Inoltre: prodotto finale (punteggio max. 10);

  • Originalità del prodotto (1-3 pp.);
  • Chiarezza delle argomentazioni (1-4 pp.);
  • Completezza del tema (1-3 pp.).

Voto per ciascuno studente: voto di gruppo = Media tra lavoro del gruppo di appartenenza e prodotto finale [un capitolo a parte meriterebbe l’assegnazione del voto di gruppo]


[1]Intervento al Workshop per la Didattica organizzato dai Licei Fermi Minghetti (BO) 1-2 Marzo 2019 dal titolo: “Della reazione faremo un progresso? Sperimentazione didattica e politica scolastica fra innovazione e ritorno all’antico”.

[2] Dirigente Scolastico IC Cremona Cinque (CR) già Docente di diritto ed economia presso l’ITIS G. Galilei di San Secondo Parmense (PR), responsabile progettazione ed innovazione didattica della sua scuola, formatore ed esperto nel campo dell’educazione interculturale, educazione alla pace, alla cittadinanza attiva, responsabile e solidale.  Avvocato già responsabile del servizio di consulenze legali del C.S.V. “Forum Solidarietà” di Parma nonché Presidente dell’Associazione “Kwa Dunia” impegnata nel campo dell’educazione interculturale. Nel 2014 è stato selezionato dal Ministro della P.I. Stefania Giannini tra gli esperti idonei a far parte dei CdA degli istituti AFAM. 

Cantautore e musicista è attualmente direttore del Coro del Centro Interculturale di Parma unendo così la grande passione per la musica a quella per l’insegnamento e l’attività formativa. 

Per contatti: dirigente@cremonacinque.edu.it

[3]“qualcosa che viene dopo”, come accade solitamente in inglese (post-war inteso come gli anni dopo la guerra; post-match, quello che accade dopo la partita). In questo caso, il significato assunto si avvicina al concetto di “qualcosa che appartiene a un tempo in cui i concetti specificati hanno perso importanza e sono divenuti irrilevanti” (da https://www.osservatorionline.it/page/243754/cos-e-la-post-verita). Ancora: in italiano “post-verità” – come “Parola dell’anno 2016” (in <https://en.oxforddictionaries.com>).  

Il dizionario inglese definisce post-truthun aggettivo «che fa riferimento o indica circostanze in cui i fatti oggettivi hanno minore influenza nella formazione dell’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle credenze personali». Il termine, che in inglese trova un sinonimo nel praticamente intraducibile post-factualdescrive dunque una situazione in cui i dati di fatto non sembrano avere molta presa nella comunicazione(politica e non solo), né costituire un criterio di riferimento, ad esempio per le scelte degli elettori. In questo senso, più che “dopo” ci troviamo “oltre” la verità, come ha segnalato anche l’Accademia della Crusca commentando il neologismo.

[4]A me che ho frequentato il conservatorio non hanno mai insegnato la materia “Gestione dell’ansia prima di una performance”, non c’è nel piano di studi “Esibizioni live” e “Gestione della pressione da concerto”. E infatti da solo sono sempre riuscito a suonare per mio piacere una suite di Bach ma poi quando si tratta di una pubblica esecuzione… ecco, a quel punto sono dolori (a dire il vero per il Conservatorio occorrerebbe fare una riflessione a parte per il fatto che la prassi è suonare in ogni contesto, ovvero agire più che “parlare” con il gesto “pratico” ma sarebbe troppo lungo in questa sede).

Per le verifiche non è forse la stessa cosa? La gestione dell’emotività e delle emozioni, la ricerca della propria autostima e la consapevolezza delle proprie capacità?

[5]Mi viene da chiedermi e da chiedervi: se io fossi un quindicenne per esempio che frequenta la seconda liceo scientifico e avessi preso tre (3) in matematica perché mi sono emozionato a tal punto da non capire perfettamente le istruzioni del docente una volta alla lavagna a svolgere il mio esercizio e fossi andato in confusione; il voto “3” cosa dice della mia condizione emotiva? Cosa dice quel voto rispetto alla mia difficoltà di gestire l’ansia, l’emozione, la fretta legate ad una performance pubblica? Oppure questo non è un tema da introdurre nell’agenda di un docente e di uno studente?

[6] Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169. (09G0130)

[7]Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00070)

[8]A questo proposito si può approfondire leggendo: Giuffredi, R., 2016. La transizione dall’«Europa della conoscenza» all’«Unione dell’innovazione» nella politica della ricerca europea. PHYSIS Rivista Internazionale di Storia della Scienza, LI (1–2), pp.187–200.

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