Chi fa Cultura e chi cortocircuita la Cultura. L’esempio di “Che tempo che fa”.

 

Prendiamo il programma “Che tempo che fa”. Fabio Fazio conduce un’operazione sottilmente distruttiva (anche se penso che il conduttore sia realmente convinto della bontà del suo operato) contribuendo a legittimare, dal suo privilegiato pulpito, un’idea di Cultura con la quale – personalmente – sono in forte disaccordo. Nel titolo di questo “articolo” ho utilizzato il termine cortocircuito culturale perché è la sensazione profonda di mistificazione di fronte alla quale mi trovo quando assisto ad alcuni solenni fraintendimenti (come quelli che avvengono, per esempio, nella trasmissione di Fazio). Cerco di spiegarmi meglio:Fazio e la sua trasmissione si rivolgono a un pubblico convinto di riconoscersi nei valori/simboli che il conduttore esibisce in trasmissione: amore per i personaggi famosi che fanno cultura e hanno un’idea “alta” della stessa, amore e rispetto per le istituzioni nel senso più profondo (e loro appassionata riscoperta), passione per lo “scouting” di “nuovi” talenti e artisti…, amore per la cultura così detta non-commerciale e avversione per gli intrattenimenti di “basso” livello. Insomma, Fazio in teoria propone un programma di alta qualità rivolto a chi si riconosce come parte di una comunità intellettuale che virtualmente ammicca e si compiace del politically correct ed è gratificato se gli viene presentata qualche eccellenza patria nel mondo. In realtà ci troviamo, a mio avviso, di fronte a un programma del genere tranquillizzante (e i sedativi non hanno mai aiutato a produrre cultura ma semmai sonno della cultura!) e, per certi versi, di stampo reazionario (nel senso che spiego oltre).

Tutti sappiamo bene che la Cultura con la “c” maiuscola è – volente o nolente – un grande mezzo – soprattutto in questa epoca di Crisi – di critica e messa in discussione del presente, del progetto di società e del futuro in cui siamo (più o meno consapevolmente) immersi: l’esperienza estetica seriamente significativa mette in discussione le certezze e destabilizza l’intero impianto “narrativo” (e auto-rappresentativo) di una società intera…in poche parole: potrebbe capitare che la Cultura e l’Arte si incarnino in rappresentazioni scomode…potrebbe. E Fazio presenta realmente quest’aspetto esplosivo della Cultura? Se – per fare un esempio – Pasolini fino a ieri risultava realmente “scomodo”, oggi, celebrare il rito del suo fondamentale insegnamento è un “atto dovuto” e non comporta nessuno stigma, anzi: la liturgia Faziesca si ciba di consolidati culti contemporanei che un tempo erano minoritari ma oggi “vanno di moda”. Dirò di più: sembra che questo rito-celebrante si uniformi a un’ideale di ciò che “sarebbe bene pensare, sarebbe bene riscoprire, valorizzare, ecc…”  quasi a prescindere dal suo reale contenuto.

Che merito c’è in questo? Non è la mia idea di Cultura. Non c’è sforzo, non c’è studio, non c’è merito nell’elogiare chi è già elogiato o che “si dovrebbe elogiare”.Mi sembra che tutto ciò sia, al contrario, il trionfo di chi fa del conformismo culturale un po’ radical chic, con una spruzzata no-global, sempre snob nei confronti di ciò che ritiene mainstream e di consumo, che si compiace nel distribuire perle di saggezza con i Gramellini di turno.

Dunque io mi trovo davanti a un programma che apparentemente celebra le idee e l’intelletto e la loro forza dirompente e liberatrice ma in realtà è di forte stampo conservatore.

A chi si faccia venire il dubbio poi che il programma condotto da Fazio (non Fazio in sé che ripeto mi sembra in buona fede) non è sufficientemente reazionario ci pensano le domande scomode agli ospiti, ovvero domande che ci fanno pensare “ah, ecco questa sì che è una domanda scomoda”.  In realtà a ben guardare ogni intervista è troppo spesso lo spot di una vita e/o oppure la magnificazione dell’opera (il libro, il disco) di questo o quell’altro…insomma mi sembra di assistere a una sofisticata televendita più che a un reale programma Culturale.

Oltre a questo per me è davvero poco sopportabile la celebrazione della cultura – esibita come elitaria e minoritaria – che si compiace dei Ligabue, e i De Gregori che duettano, ammantati di genialità poetica… in realtà siamo di fronte all’esibizione della potente anima commerciale della Cultura mainstream. Ma non voglio essere frainteso: il male non sta nell’essere mainstream, ciò che più è distruttivo a mio avviso, è ammantare l’intrattenimento con la Cultura… Fazio, a mio avviso, in fondo presenta il suo mondo. Un mondo che – per chi osservi con attenzione (posso ovviamente anche sbagliarmi) – non è la corte di un Mecenate ma un salotto chiuso (anche se abbastanza largo) nel quali si incontrano i Serra e i Pif di turno, o personaggi come Maccio Capatonda (esibito come un grande regista…senza alcun contraddittorio. Leggete per curiosità l’articolo di C. Raimo sul suo film su internazionale della settimana scorsa!)

Tuttavia non desidero giudicare le qualità umane degli invitati, ma il copione di una ristretta cerchia intellettuale radical chic che perpetua se stessa e le cui produzioni culturali e artistiche non hanno nulla di rivoluzionario e/o dirompente. Questa cerchia, anzi, è entrata a pieno titolo nella produzione intellettuale di massa e vive dei suoi proventi: noi ne siamo i principali “consumatori”. Per questo parlo di corto-circuito culturale e di tautologia: cosa aggiunge “Che tempo che fa” alla mia visione del mondo, alla mia crescita culturale? Niente credo. Anzi, mi propone come “prodotti” culturali alti, volgari prodotti commerciali. Ed è questa mimesi che più mi inquieta e mi fa disperare. Certo, Fazio invita – per esempio – in trasmissione l’ex-clochard anglo-ghanese Benjamin Clementine (e ci tengo a sottolineare ex) e lo fa quando è già famoso in tutto il mondo. Eppure in fondo al cuore del pubblico profondamente corretto si mette in moto un sussulto che io tradurrei così: “ah, Fazio sì che è un uomo profondo e aperto, invita i barboni alla sua trasmissione…!”. Sì, ma quando barboni non lo sono più…! Non c’è, nella trasmissione di Fazio ciò che l’apparenza vorrebbe farci credere: un vero lavoro Culturale che premia quel tipo di Cultura profonda e rivoluzionaria (che non vuol dire di “sinistra” ma che non è fatta per avere successo o padroni ma per gratificare sé stessa e la sua libertà) che potrebbe contrapporsi e “smascherare” la cultura difesa da Fazio (che più o meno consapevolmente difende  persone e industrie culturali con nomi e cognomi).

Fazio legittima, al contrario, un’ élite culturale e un’industria culturale che trova in sé stessa e nel mantenimento del proprio privilegio di “fare opinione” di costruire immaginari “indipendenti” la propria ragion d’essere. Fazio ci appare come uno spirito libero e indipendente – e forse dal suo punto di vista crede realmente di esserlo: tuttavia non credo che egli metta realmente il naso fuori dal proprio salotto (conoscere persone in tutto il mondo non è sufficiente a sporcarsi le mani a cercare…cercare la poesia, la musica, la letteratura…) Fazio non rischia realmente nulla. Per questo credo che l’ambiguità di un programma come “Che tempo che fa” sia sottilmente pericolosa forse più delle tv e dei palinsesti a vocazione strettamente commerciale.

Nella trasmissione di Fazio – per esempio – si è parlato del meritevole tema della gerontocrazia…ovvero dell’insopportabile “tappo generazionale” che impedisce ai giovani di dimostrare le loro capacità. Chi c’era sul palco a parlarne? Gramellini e Fazio: perché allora non dare realmente spazio ai giovani invece di evocare la questione da un pulpito ormai “attempato”? Qualche istante dopo viene presentato uno spettacolo di Claudio Bisio, i suoi sessant’anni ( o giù di lì). D’accordo anche a me Bisio piace, è un grande professionista: ma che merito c’è nel fare uno spot al celebre e celebrato Bisio? Purtroppo i tanti messaggi impliciti di Fazio come per es. ora vi mostro qualcosa di veramente nuovo che voi non potreste trovare senza il mio aiuto, sono spesso disattesi e contraddetti dall’impostazione della trasmissione stessa e da chi ne agisce la scena.

Per inciso desidero osservare che questo stesso schema di “cortocircuito culturale” si ripropone anche in altri “circuiti” come quelli dei premi legati alla canzone per esempio – che io conosco bene – e che soltanto  per il fatto di essere circuiti ovvero “strutture” che debbono in qualche modo sopravvivere e far sopravvivere i “propri addetti” tendono alla propria auto-conservazione e non alla vera, profonda, ricerca Culturale.

Spero infine che le cose cambino e che queste mie osservazioni (che mi auguro, non siano scambiate per esercizio di snobismo: sarebbe facile archiviarle così!) contribuiscano a stimolare un dibattito serio e a stimolare un risveglio culturale del quale – mi auguro – ciascuno di noi vorrà farsi carico.

PS: chissà se Fazio – visto che comunque è un uomo sensibile – anziché prendersela (la cosa più “facile”) raccoglierà qualche suggerimento e raccoglierà la sfida del cambiamento…

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