C’era una volta una gatta (che portava i soldi in Svizzera…)

Dirigo un piccolo coro del Centro Interculturale di Parma composto da bimbi e bimbe, dai loro genitori e tanti altri adulti che amano cantare. Ovviamente è un’attività volontaria: le nostre esibizioni, poi, avvengono in contesti decisamente no-profit. L’estate scorsa era prevista la nostra esibizione alla Festa dei Popoli (una bella festa dove la comunità straniere preparano cibo per finanziare i loro progetto). Per il coro non era previsto nessun biglietto e nessun introito. Il sottoscritto men che meno riceve compenso. Appena finito di cantare la responsabile della festa mi viene a cercare perché un funzionario della Siae voleva elevare una contravvenzione alla festa. Motivo? Non avevamo scritto preventivamente, sul programma da consegnare alla Siae nei giorni successivi alla festa, il titolo dei brani che avremmo eseguito. Ci tengo a sottolineare che eravamo perfettamente in regola. La festa aveva pagato quanto doveva e aveva fatto tutte le complicate pratiche per far musica durante le serate. Io ho chiesto allora di parlare con il funzionario della Siae, ma se n’era appena andato dopo aver steso un verbale (ci pensate un verbale!) borbottando una frase ad effetto: “Farò rapporto, poi vedremo…”.

Volevo spiegare al funzionario così zelante con la nostra esibizione che non mi è mai accaduto di dover scrivere i titoli dei brani prima di un concerto (po’ anche darsi che sia obbligatorio…). E’ comunque contrario a ogni esibizione artistica: non credo che impongano a Vasco Rossi di decidere la scaletta prima di esibirsi. Mi auguro che possa farsi ispirare dal pubblico, dalle richieste…tralascio la multa che mi hanno dato quando, in un posto sperduto del nostro appennino, nel giorno del mio compleanno, ho cantato alcune mie canzoni (sottolineo mie!) nell’agriturismo di un amico!

Faccio questa premessa perché ritengo molto interessante il concetto che emerge di “trasgressione” alla luce dei recenti fatti di cronaca. E di come ci siano “trasgressioni” sanzionate mentre altre trasgressioni non dovrebbero – secondo alcuni – nemmeno essere considerate tali o, quantomeno, sfumate con decine di giustificazioni cervellotiche, spesso risibili e, a volte davvero patetiche (come l’età di chi ha commesso il reato). Inoltre trovo inquietante che non si parli di questione morale e responsabilità civica oltre che di evasione fiscale.

Sto parlando ovviamente di Gino Paoli: trovo molto grave, infatti, non solo il reato in sé (vedremo e farà luce la magistratura) ma anche il contenuto e il tono dell’intercettazione telefonica che ha visto coinvolti Gino Paoli (il presidente della Siae!)  e il suo commercialista.

Credo che, ancora prima della legge, esista una deontologia civica non scritta (oltre alle norme del codice amministrativo e penale) alla quale dovrebbe ripugnare parlare, sussurrare, bofonchiare di denari da sottrarre alle imposte. Una deontologia della vergogna e del pudore (tutta interna all’essere umano) che dovrebbe inibire ogni forma di conversazione nella quale si parla di “immagine pubblica da salvaguardare” a fronte di un motivo reale invece che la metterebbe  in seria compromissione. Dovrebbe esistere la deontologia della balla che fa scattare un gendarme interno che ti parla con materno compatimento (“dai, forza, non dire scemenze, ma ti vedi? Ma guardati… sei ridicolo! Piuttosto vatti a costituire e restituisci quanto devi!) quando vuoi passare per una persona che non sei.

Sono contento poi che ci sia la lista Falciani e sono contento che la Cassazione abbia scritto nero su bianco che a nulla vale invocare il diritto alla privacy (un diritto che a mio avviso protegge solo le magagne private e non difende realmente le libertà) per evitare i controlli su coloro che erano titolari di un conto nella banca Svizzera: infatti, spiega  la Cassazione, il dovere Costituzionale di pagare le imposte – sull’ideale bilancia della giustizia – è molto più pesante della tutela legislativa della sfera privata del singolo (ovvero della privatissima opportunità di nascondere sotto il tappeto denari pubblici: perché nel momento in cui sono tasse, sono denari pubblici!).

Non sono contento invece di quelli che fanno i distinguo, che accusano i giornalisti di essere calunniosi, non sono contento delle Stefania Sandrelli di turno (leggete la sua letterina recriminosa su L’Espresso) che si sentono offese per essere messi alla gogna con l’unica colpa di aver accumulato risparmi di una vita in Svizzera e di averli fatti rientrare poi “regolarmente” scudati (come se dopo un indulto, io che ho commesso un reato, dicessi: “ma insomma non sono mica un criminale. Basta fatevi i …vostri e lasciatemi lavorare…!”). Avevo molti dubbi anche sul conto di Civati, la cifra mi sembrava irrisoria: in Italia con un deposito di 6500 euro qualunque private bank non ti fa neanche pulire i piedi sullo zerbino di ingresso. E oggi, da un articolo su “Le Monde” (che tra l’altro getta un discredito esagerato e sospetto su Falciani)  si capisce che per essere clienti della Hsbc Private Bank il capitale minimo (badate bene, minimo!) è di 1.000.000 di dollari (allora sì che il libretto degli assegni non lo paghi!). Dunque Civati, forse l’ha detto e mi è sfuggito, dica che 6500 dollari sono semplicemente un residuo di un conto ben più cospicuo. Niente di male se tutto è regolare. E’ solo ricco.

Detto questo ho due grandi rammarichi: 1) che ci sia una classe di “aristocratici” della bella Italia che oltre allo scudo fiscale desidera uscire indenne dalla vicenda con uno “scudo morale”;  2) che con le tasse dei denari che sono passati, attraverso la complicità svizzera, da un paese all’altro senza lasciare traccia si potrebbe fare molta cultura: cultura nelle scuole contro l’evasione, cultura civica di amore per le regole (quando, ovviamente, non sono volte a difendere i privilegi di alcuni!).

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